LA DISINFORMAZIONE SU FATTI ECCLESIALI : Ignoranza reale o strategia mirata?

Il dott. Carlo Màfera intervista lo storico prof. Pier Luigi Guiducci

In molteplici occasioni, le cronache che riguardano la vita interna della Chiesa, fatte circolare dai media, hanno orientato i lettori verso interpretazioni che alla luce dei fatti si sono dimostrate inesatte. Il desiderio di lanciare una notizia “ghiotta”, la volontà di catturare l’attenzione dei possibili acquirenti, l’uso spregiudicato di notizie non verificate, la voglia di lanciare uno scoop a tutti i costi, sono riusciti ad avere il sopravvento sui dati reali. In tal senso, ciò che colpisce, è un processo di oggettiva disinformazione: non è importante dire quello che è successo, è necessario creare – comunque – una comunicazione che sia capace d’infrangere l’apatìa delle persone, il disinteresse, l’atteggiamento frettoloso. Anche nel più recente periodo sono emerse delle cronache che hanno avuto l’effetto di generare polemiche, tensioni, affermazioni eclatanti. Al riguardo, molte persone ci hanno rivolto delle domande. Hanno chiesto dei chiarimenti. Abbiamo chiesto a uno storico della Chiesa, il prof. Pier Luigi Guiducci, di rispondere a diversi quesiti.

  1. Prof. Guiducci, perché esiste sovente una disinformazione legata a fatti della Chiesa cattolica?

Perché si cerca di colorare in qualche modo una notizia, un fatto di cronaca.

  1. Nella notte del 28 settembre 1978, dopo soli 33 giorni dalla sua elezione al soglio pontificio, muore improvvisamente Giovanni Paolo I. Diversi media ipotizzato un omicidio. Che ne pensa?

Secondo il comunicato vaticano, Papa Luciani morì per infarto acuto del miocardio. Fu suor Vincenza Taffarel a trovare il Pontefice morto (lo accudiva da più di vent’anni). Gli aveva portato il caffè d’inizio mattina. Giovanni Paolo I non lo bevve mai. Era già cadavere. Accorsero i segretari: mons. Diego Lorenzi (nato nel 1939), un religioso del Don Orione, e l’irlandese mons. John Magee (nato nel 1936, nominato poi vescovo). Arrivò anche il medico dott. Renato Buzzonetti (nato nel 1924).

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  1. Perché qualcuno parlò di un omicidio?

Perché non venne eseguita l’autopsia. Su questo fatto (che rispetta una prassi di lungo periodo), qualcuno ha voluto costruire storie che mettono insieme la massoneria, la mafia e i servizi segreti.

 

  1. Ma com’era la salute di Giovanni Paolo I?

Non buona. Un embolo, durante un viaggio in aereo, lo aveva privato della vista in un occhio per qualche tempo. Lui stesso, durante l’ultima udienza generale (27 settembre 1978), confessò, rivolgendosi ai malati presenti, di essere stato otto volte in ospedale e di aver subìto quattro interventi operatori. Questa parte del discorso non appare nel sito ufficiale del Vaticano.

 

  1. Ci sono testimonianze sulla salute precaria del Papa?

Sì. Suor Vincenza Taffarel sapeva che il suo stato di salute era da monitorare. Mons. Lorenzi ha poi raccontato del gonfiore ai piedi del Pontefice (luglio-agosto 1978), e delle fitte al petto che quest’ultimo aveva avvertito durante l’intera giornata del 28 settembre 1978.

 

  1. Perché la tesi “complottista” trovò accoglienza nei media?

Perché stimolava la curiosità. Era intrigante. Poneva interrogativi inquietanti. Era utile per accentuare il discorso su dinamiche vaticane poco chiare.

 

  1. Prof. Guiducci, per un non breve periodo di tempo, è stato scritto che un boss della Magliana aveva avuto sepoltura nella chiesa romana di Sant’Apollinare. So che Lei ha svolto delle ricerche in merito…

Sì. Si tratta di Enrico De Pedis, detto Renatino (nato e morto a Roma; 19541990). È stato un esponente della banda della Magliana. Venne ucciso da un killer.

 

  1. Quando morì, fu sepolto a Sant’Apollinare?

No. In una tomba del cimitero del Verano.

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  1. Poi, che successe?

Due mesi dopo, la moglie, forse per timore di atti di vandalismo (erano in corso lotte tra bande rivali), cercò per il marito defunto un luogo di sepoltura meno accessibile al pubblico. Si rivolse a un monsignore che, in quel tempo, era rettore della chiesa di Sant’Apollinare (ricoprì tale incarico fino al 1991). Si trattava di mons. Piero Vergari (nato nel 1936).

  1. Come faceva a conoscere Vergari?

Lo conosceva, perché De Pedis, quando era rinchiuso nel carcere di “Regina Coeli”, aveva avuto modo d’incontrare questo sacerdote (presente ogni sabato sera, per 25 anni). Una volta uscito di prigione, lo contattò e gli chiese di celebrare il suo matrimonio.

  1. Si arrivò quindi a Sant’Apollinare…

Diciamo meglio, si arrivò a individuare un’area sepolcrale attigua al complesso di Sant’Apollinare.

  1. Quindi De Pedis non fu sepolto in chiesa, come qualcuno ha scritto…

No. Nella chiesa è proibito predisporre nuove aree sepolcrali.

  1. E non fu neanche sepolto in cripta…

No. La cripta l’ho visitata. È molto umida. Vi sono interrate varie personalità vissute in precedenti periodi (alcune frasi incise sulle lapidi si leggono ancora chiaramente).

  1. E allora, dove venne sepolto De Pedis?

In un’area attigua all’edificio di culto. Al riguardo, ricordo un dato storico. Prima dell’editto di Saint Cloud (Décret Impérial sur les Sépultures), emanato da Napoleone Bonaparte il 12.6.1804 (le tombe dovevano essere poste al di fuori delle mura cittadine), esistevano a Roma molteplici aree cimiteriali attigue a chiese. Erano dei luoghi di sepoltura pubblici. Gestiti in genere da confraternite. In qualche caso venivano approntate anche delle fosse comuni. Una di queste è stata ritrovata vicino alla chiesa e all’ospedale di Santo Spirito in Sassia (durante i lavori per i parcheggi interni al colle Gianicolo).

  1. Nessuno ha riportato queste specificazioni?

No. Le lettere di rettifica non sono state pubblicate dai media.

  1. Si è preferito parlare di grosse offerte in denaro, di responsabilità gravanti sul cardinale Poletti…

Sì. È vero. La dinamica è più semplice. Vergari conosceva l’ambiente carcerario. Sapeva che le preoccupazioni della moglie di De Pedis non erano deboli. Sul piano amministrativo, poi, essendo titolare di una rettoria, fu responsabile di procedimento.

  1. Come è evoluta la situazione?

Nel 1997 si fece un primo riferimento alla tomba di De Pedis. In seguito, durante le indagini collegate al rapimento (1993) e alla probabile eliminazione della 15enne Emanuela Orlandi (figlia di un commesso vaticano), gli inquirenti – sulla base – di informative inesatte, vollero aprire la tomba di De Pedis (maggio 2012). Ma non trovarono elementi di rilievo. Comunque, la salma fu poi trasportata nel cimitero di Prima Porta (giugno 2012), e cremata.

  1. Finisce il caso De Pedis, e poco tempo dopo scoppia a Roma quello legato al funerale di un esponente della famiglia dei Casamonica. In più articoli è stato scritto che la Chiesa ha vietato i funerali di un malato di SLA, Piergiorgio Welby, mentre ha aperto le porte a Casamonica. Che c’è di vero in tutto questo?

Incominciamo dalla situazione di Piergiorgio Welby (1945-2006). Quest’ultimo, fu un giornalista. Rivelò anche doti di pittore e di poeta. Sul piano politico, aderì al partito   Radicale, e dedicò un notevole impegno per far approvare dal Parlamento una normativa a favore del diritto all’eutanasia. In tale contesto, divenne anche co-presidente dell’Associazione “Luca Coscioni”.

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  1. Fu poi colpito da una grave malattia…

Sì. La SLA (distrofia muscolare). A questo punto chiese, in ultimo, di essere aiutato a morire (2006). Scrisse pure un libro dal titolo Lasciatemi morire (2006). La moglie, cattolica, sostenne le sue posizioni.

  1. E in seguito?

La vicenda di Welby, specie nel periodo finale della sua vita terrena, venne utilizzata in ambito politico per accentuare una pressione sugli organi istituzionali del nostro Paese (incluso il presidente della Repubblica). Diventò un fatto nazionale.

  1. Sul piano religioso che avvenne?

Il malato, in modo progressivo, e in piena lucidità, si era allontanato dalla vita ecclesiale, e da quella sacramentale in particolare. Inoltre, sostenendo la battaglia politica a favore dell’eutanasia, si era discostato dalla posizione della Chiesa cattolica (contraria a quest’ultima).

  1. Situazione delicata…

Sì. Una situazione delicata. Quando le condizioni fisiche di Welby si aggravarono, un sacerdote salesiano della parrocchia di San Giovanni Bosco cercò di avvicinarlo. Alcuni membri del partito di Welby, presenti in casa, non consentirono l’interazione. Il prete andò via.

  1. Poi Welby muore…

Welby muore con l’aiuto di un anestesista, il dottor Mario Riccio. Fu quest’ultimo a praticare sull’infermo una sedazione, e a sospendere la ventilazione assistita. In quel momento, erano presenti la moglie Mina, la sorella Carla e alcuni compagni radicali dell’associazione “Luca Coscioni” (Marco Pannella, Marco Cappato, Rita Bernardini).

  1. Ci furono conseguenze?

Il 1º febbraio 2007 l’Ordine dei medici di Cremona ha riconosciuto che il dottor Mario Riccio ha agito nella piena legittimità del comportamento etico e professionale, chiudendo la procedura aperta nei suoi confronti. L’8 giugno 2007 il giudice per le indagini preliminari ha comunque imposto al pm l’imputazione del medico per omicidio del consenziente, respingendo la richiesta di archiviazione del caso, ma il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, lo ha definitivamente prosciolto ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato.

  1. E si arriva alla questione del funerale…

Quando Welby morì, il Vicariato di Roma, trasse alla fine delle conclusioni. Prese atto della volontà del defunto.

  1. Nessun funerale…

Nell’immediato non ci fu il funerale (suonarono le campane come segno di rispetto verso il defunto). In realtà furono celebrate messe di suffragio, e non mancarono preghiere da parte degli stessi salesiani operanti in parrocchia, e di altre persone.

  1. E i compagni?

Lo ricordarono nella stessa piazza antistante la parrocchia (24 dicembre 2006). Esistono poi delle considerazioni…

  1. Quali?

Si è molto scritto sull’importanza del funerale perché alcuni continuano a considerarlo un sacramento. Ma il funerale non è un sacramento.

  1. Può chiarire?

Il funerale è solo un rito (un sacramentale) con il quale la Chiesa prega per chi è morto, e benedice la salma. Le preghiere per Welby ci sono state. Si poteva benedire la salma in casa. Ma la presenza di alcuni amici del defunto, di fatto, non lo permise.

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  1. Si arriva poi al funerale di Casamonica…

Vittorio Casamonica muore nel 2015. Era di etnia sinti. Arrivò a Roma negli anni ’70. Fu uno degli esponenti più influenti della famiglia che ha avuto nei quartieri Tuscolano e Anagnina le sue basi di lancio. Negli anni, diversi membri del nucleo dei Casamonica sono stati al centro di indagini della magistratura e sequestri di beni, con accuse che vanno dal racket all’usura.

  1. Il funerale si doveva rifiutare?

Non c’era motivo. Il defunto aveva subìto per un periodo non breve una malattia terminale. Sia Vittorio che le persone a lui vicine desideravano un funerale.

  1. Perché esplode allora un forte clamore?

Per le manifestazioni pubbliche di lutto (carro funebre, manifesti, auto di accompagno, banda musicale, fiori gettati da un elicottero). In tali esternazioni si è voluto vedere un’esaltazione di una persona la cui vita, però, è stata segnata da lati oscuri.

  1. C’è quindi una distinzione tra ciò che è avvenuto all’interno della chiesa, e quanto è stato organizzato nel piazzale antistante…

Sì. All’interno dell’edificio di culto il funerale è stato celebrato senza una particolare enfasi. All’esterno, al contrario, alcune dinamiche si sono rivelate eccessive.

  1. Anche in questo caso, qualcuno ha sospettato di offerte donate alla Chiesa…

Sì. Qualcuno ha scritto di particolari “maneggi”. Ma i riscontri effettuati hanno dimostrato l’incontrario.

  1. Quindi, non c’è stata una “preferenza” rispetto alla situazione di Welby…

No. Welby scelse – in modo non equivoco – una linea di progressivo allontamento dalla Chiesa, e di lotta politica (pubblica) contraria al magistero cattolico. Vittorio Casamonica, arrivando l’ora della morte, ha voluto avvicinarsi alla Chiesa.

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