IL SENSO DI UNA SCELTA : Aspetti storici della Polizia di Stato

IN OCCASIONE DEL GIORNO DELLA MEMORIA (PER L’IMPEGNO PROFUSO DALLA POLIZIA DI STATO PER LA SALVEZZA DI VARI EBREI) PUBBLICHIAMO UN’INTERESSANTE  

INTERVISTA DEL DOTT. CARLO MAFERA ALLO STORICO

PROF. PIER LUIGI GUIDUCCI

 In particolare l’intervista si è svolta

In memoria di

Giovanni Guiducci

(1878-1959, Maresciallo di P.S.),

Ubaldo Guiducci

(1920- 2008, Consulente per la lotta contro i reati valutari)

 

Innanzi tutto un pò di storia.  Nel 1848 : Regno di Sardegna. Carlo Alberto di Savoia-Carignano ( 1798-1849) istituisce l’amministrazione civile della pubblica sicurezza (cf l’ottimo studio   di Milo Julini,). Sul territorio operano, così, forze di controllo militare e delegazioni di polizia (strutture civili). Tale linea subisce nel tempo modifiche. Richieste dall’esperienza realizzata “sul campo”. Diventa urgente l’istituzione di forze armate alle quali assegnare funzioni di polizia. Non legate, se possibile, agli obblighi rispettati dalle forze militari tradizionali. Entrano così in azione la Milizia Comunale e la Guardia Nazionale.

Nel 1852 è istituito il Corpo delle Guardie di P.S.. Può contare su due compagnie (Torino, Genova e qualche stazione dislocata in più punti del territorio). La sua competenza territoriale si estende (1859). Include gli Stati (meno la Toscana) che, progressivamente, hanno votato l’annessione al Regno di Sardegna. Il comando delle funzioni di P.S. è affidato ai questori delle città capoluogo di provincia (con più di 60.000 abitanti). È istituito il ruolo degli ispettori.

Nel 1861 la Divisione generale della P.S. diventa Direzione. Nel 1862, con l’istituzione del Segretariato Generale del Ministero dell’Interno, l’amministrazione torna ad essere Divisione. Il responsabile apicale è il Segretario generale.

Nel 1880 si decide una suddivisione di competenze. Nel Corpo sono operative la polizia amministrativa, quella giudiziaria e la divisione affari riservati. Nel 1887, il governo di Agostino Depretis (1813-1887) decide di ripristinare la Direzione generale. Nel dicembre del 1890, mentre è ministro dell’Interno l’on. Francesco Crispi (1818-1901), avviene un’ulteriore cambiamento. Milizie Comunali e Corpo delle Guardie di P.S. confluiscono nel Corpo delle Guardie di Città.

Successivamente, vengono sciolte le Guardie di Città e quelle Municipali (1907). Il personale passa alle dipendenze del sindaco. Svolge funzioni di vigilanza sulle materie di competenza municipale. Nasce il Dipartimento della Pubblica Sicurezza. È alle dipendenze del Ministero dell’Interno. Diventa operativo il Corpo della Regia Guardia per la P.S.. Ha un ordinamento militare. Deve mantenere l’ordine pubblico. Entra in azione pure il Corpo degli Agenti Investigativi. Questi, sono specializzati in compiti di polizia giudiziaria. E il cammino prosegue (cf anche Milo Julini-Paolo Valer, 2013)…

 

MAFERA: Prof. Guiducci, con riferimento al primo periodo della storia della Polizia di Stato, può indicare un aspetto significativo?

Certamente l’istituzione della Polizia Scientifica.

 

MAFERA: Può dare qualche dettaglio?

Siamo nel 1902. Un allievo di Marco Ezechia Lombroso (detto Cesare, 1835-1909), il medico legale Salvatore Ottolenghi (1861-1934), fonda la Scuola Superiore di Polizia Scientifica. E ne diventa il direttore. Le prime lezioni vengono impartite a un gruppo di vice commissari e delegati di P.S. nella sala dei riconoscimenti del carcere romano di Regina Coeli. In quel momento la politica italiana è diretta dal secondo governo Giolitti (3.11.1903-12.3.1905). Il lavoro di Ottolenghi viene apprezzato anche all’estero. Basta leggere gli atti del I° congresso internazionale di polizia giudiziaria (Principato di Monaco, 1914). O quelli del III° congresso internazionale di polizia (Anversa, 1930). È aperta la strada allo studio delle tecniche investigative.

 

MAFERA: Qualche esempio…

È introdotto il cartellino segnaletico. Si utilizza pure un innovativo metodo di classificazione delle impronte digitali (il Sistema Gasti). Ottolenghi, inoltre, istituisce il servizio di segnalamento e di identificazione, il casellario centrale d’identità, i gabinetti di polizia scientifica in tutte le questure. Con lui, ha inizio la pubblicazione del “Bollettino della  Scuola di Polizia Scientifica” (1910). È interessante anche un ulteriore dato. Negli anni che precedono la Ia guerra mondiale, Ottolenghi adotta una nuova cartella biografica, con i dati anagrafici del soggetto esaminato, valutazioni sulla sua capacità a delinquere e sulla sua specialità criminosa.

 

MAFERA: Lei accennava al Sistema Gasti…

Il dottor Giovanni Gasti (1869-1939) era un avvocato. Preparato sul piano giuridico. Affrontò il cursus di funzionario della P.S. (1894). Per le qualità dimostrate, divenne aiuto di Ottolenghi presso la Scuola di Polizia Scientifica. Dal 1906 Gasti diresse il Servizio di Segnalamento e Identificazione della Scuola. Un suo merito è stato quello di aver elaborato una classificazione dattiloscopica (Sistema Gasti). Presentato al 6° congresso internazionale di antropologia criminale (Torino, 1906), il Sistema venne adottato anche da Polizie di altre nazioni. In Italia, rimase in vigore fino all’avvento del Sistema AFIS (2000). Dal 1916, Gasti diresse l’Ufficio Centrale Investigativo. In seguito fu questore. E prefetto.

 

MAFERA: Un altro aspetto storico rilevante che riguarda la Polizia di Stato?

Mi sembra rilevante l’azione di tutela dei perseguitati durante gli anni più drammatici del “Ventennio”. Fu svolta da diversi membri della Polizia di Stato. Ho ritrovato anche un episodio che vede un poliziotto e un carabiniere operare fianco a fianco…

 

 

 

MAFERA: Forse, questo è l’aspetto che si conosce di meno…

Sì, sono d’accordo. Sul piano storico le ricerche sono relativamente recenti.

 

MAFERA: Prof. Guiducci, in un Suo libro, “il Terzo Reich contro Pio XII”, ricorda alcuni poliziotti…

È vero. Con riferimento a Roma, ho cercato di raccogliere dati sulla figura di un commissario capo di P.S.. Si tratta del dott. Francesco Saverio Cacace (cf Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, D.ne G.le P.S., Dipartimento P.S., Personale fuori servizio, Versamento 1973, b. 122). Era nato nel 1890. Non conosco la data della sua morte. Nel periodo dell’occupazione nazista a Roma, era dirigente dell’Ufficio San Lorenzo. Protesse gli ebrei perseguitati (diversi attestati in fascicolo). Di lui ne ha scritto in termini positivi il padre Libero Raganella (1914-1990). Un religioso dei Giuseppini del Murialdo.

Ho tentato poi di dare un volto al commissario che salvò la famiglia ebrea dei Castelnuovo. Una figlia di questi, Emma (1913-2014), divenne una nota matematica. Sarà lei a ricordare l’aiuto ricevuto da questo commissario (Cacace ?).

 

MAFERA: Ricorda anche Lucignano…

Sono stato più fortunato quando sono riuscito a individuare l’azione nascosta di questo maresciallo. Gennaro Lucignano (fascicolo personale 024218). Era nato nel 1903. Dal 1923 al 1925 fu impiegato nella Regia Marina (Compartimento marittimo di Napoli). Nel 1927 iniziò il suo cursus come allievo guardia nel Corpo degli agenti di P.S.. Il 16 agosto del 1943 fu promosso maresciallo di II classe. Operava presso la Polizia Fluviale posizionata nell’Isola Tiberina. Il 16 ottobre del 1943 ci fu nell’Urbe il rastrellamento degli ebrei. Un gruppo di perseguitati si rifugiò dentro l’ospedale israelitico. Lucignano, interrogato dalle SS, garantì la non presenza di ebrei sull’Isola (sapeva che altri ricercati stavano tra i francescani e nel “Fatebenefratelli”). Fu aiutato da tutti i suoi uomini e da un’infermiera, Dora Focaroli (cattolica, operante nell’assistenza agli anziani). Una lapide ricorda questo maresciallo. L’ho individuata con l’aiuto di una signora del museo ebraico di Roma (non è posizionata su mura esterne). Non conosco la data della morte di Lucignano.

Non ho poi dimenticato mio nonno paterno, Giovanni (1878-1959). Maresciallo di P.S.. Richiamato in servizio per carenze di personale. Liberò due giovani ebrei avuti in custodia. Fu imprigionato. Ma per poco. Arrivarono gli Alleati…

Esistono, poi, altre figure interessanti…

 

MAFERA: Quali?

Penso ad Angelo De Fiore (1895-1969). Diresse l’ufficio stranieri della Questura di Roma. Salvò un alto numero di ebrei, Contemporaneamente, fingeva di collaborare con i tedeschi. Interagì con la Delasem (organismo ebraico di assistenza), con mons. Hugh O’Flaherty (1898-1963). Manipolò carte di ufficio. Vidimò con i timbri ufficiali del suo ufficio vari documenti falsi. Questi “atti” erano stati preparati dal signor Luigi Charrier (ufficio annonario del Comune di Roma) e dall’avvocato Mario Cherubini (direttore dell’ufficio tesseramento del Governatorato di Roma).

De Fiore, inoltre, “prelevò” ebrei imprigionati. Li fece passare per pericolosi ricercati. Accusati di reati comuni o disertori dell’esercito (liberandoli in seguito). Dopo l’attentato di via Rasella non si allineò sulle direttive del questore Pietro Caruso (1899-1944). Fu tra i primi ad essere dichiarato “Giusto tra le nazioni” (1969).

Mi vengono in mente anche le tante figure di poliziotti di cui il tenente colonnello delle SS  Herbert Kappler (1907-1978) diffidava. Lo attesta il fatto che per il rastrellamento del 16 ottobre del 1943 fece utilizzare pochi membri della P.S. (comunque controllati dai nazisti). In un telex di Kappler a Berlino si legge: “A causa della sua inaffidabilità, non è stato possibile utilizzare la polizia italiana, che ha partecipato soltanto agli arresti individuali (avvenuti in rapida successione) nei ventisei quartieri in cui si è svolta l’operazione” (16 ottobre 1943, ore 22.08).

 

MAFERA: Oltre Roma, ha studiato altre realtà italiane?

Ancona. Il prefetto del tempo, dopo l’occupazione tedesca (15 settembre 1943), si trovò davanti le SS. Queste, volevano un supporto per arrestare gli ebrei. Egli rispose che non c’era nessun ebreo. Tutti avevano abbandonato la città. Inoltre, non consegnò gli elenchi della comunità ebraica. Disse che erano andati distrutti durante un bombardamento. Il fatto è descritto in una testimonianza raccolta da Giuseppe Mayda (morto nel 2014) nel libro: Ebrei sotto Salò. La persecuzione antisemita 1943-1945 (Feltrinelli, Milano 1978).

 

MAFERA: Un’altra città?

La Spezia. A favore dei perseguitati del tempo si crea una rete che include più figure notevoli. Si possono ricordare:

-il commissario capo di P.S. Nicola Amodio. Nasce nel 1898. Opera presso la Questura di La Spezia. Coniugato. Con tre figli. Deportato a Mauthausen. Come attestato da un documento della Croce Rossa, vi muore nel febbraio del 1945;

-il commissario capo di P.S. Lodovico Vigilante. Nato nel 1882. Dirigente del commissariato di Migliarina (La Spezia). Era rimasto vedovo con un figlio. D’intesa con il parroco di Migliarina, don Giovanni Bertoni (arrestato a fine novembre 1944 e tradotto nelle carceri di Marassi), lavora per mesi a operazioni clandestine per consentire l’espatrio di ebrei e di antifascisti. Deportato. Muore nel 1945 a Mauthausen. Aveva 68 anni;

-la guardia di P.S. Annibale Tonelli. Nato nel 1913. In servizio presso il commissariato di Migliarina. Deportato. Mauthausen. Di lui si perde ogni traccia. Il 9 settembre del 1951 il Tribunale della Spezia ha dichiarato la sua morte presunta come avvenuta a Mauthausen in data 31 marzo 1945;

-la guardia ausiliaria di P.S. Domenico Tosetti. Nato nel 1924. In servizio presso il commissariato di Migliarina. Deportato. Mauthausen-Gusen 2. Liberato a Linz (Mauthausen) dalle truppe U.S.A.. Tornò a operare a La Spezia. Poi si congedò dal Corpo;

-il brigadiere ausiliare Vito Alfonso Filardi. Nato nel 1917. Celibe. Deportato. Risulta ufficialmente disperso;

-il vice brigadiere di P.S. Biagio Sullo. Nato nel 1912. Il treno (per il lager di Bolzano) dove si trovava rinchiuso subì un bombardamento. Alcuni prigionieri tentarono la fuga. Con loro Sullo. Molti di questi vennero ripresi e (si pensa) eliminati. Di Sullo non si conoscono né il luogo né le modalità della morte. Solo la data, 22 marzo del 1945, secondo il racconto del nipote Antonio Sullo;

-la guardia scelta di P.S. Giuseppe Cavallo. Nato nel 1925. Deportato. Risulta ufficialmente disperso (con ogni probabilità morto durante la prigionia);

-la guardia ausiliaria di P.S. Domenico Mazzola. Coniugato. Nato nel 1915. Deportato. Mauthausen. Risulta ufficialmente disperso;

-la guardia ausiliaria di P.S. Francesco Caruso. Nato nel 1921. Celibe. Deportato. Mauthausen. Risulta ufficialmente disperso.

Una foto storica della Polizia di Stato

 

MAFERA: Dove ha trovato questi dati?

In un libro (Migliarina ricorda). Presso l’Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti. In alcune curie diocesane. Nelle ricerche svolte con molto impegno da due ex-poliziotti (Vincenzo Marangione e Tarcisio Trani).

Alle figure già ricordate si affiancarono anche quelle di: don Giovanni Bertoni (parroco di Migliarina), don Mario Devoto (parroco di San Terenzo di Lerici), Canonico Ferruccio Casabianca (cancelliere Curia Vescovile della Spezia), don Renato Reali (parroco di Ceparana), don Giuseppe Pieroni (ex cappellano militare), don Bruno Duchini (parroco di San Venerio), padre domenicano Pio Rosso (parroco di San Pietro Apostolo)… Tutti torturati.

 

MAFERA: Altre città…

Trieste. Emergono importanti figure che operarono a favore dei perseguitati del tempo. Mi viene in mente il capo dell’ufficio politico della Questura. Si chiamava Feliciano Ricciardelli (morto nel 1968). Il 2 giugno del 1944   è deportato a Dachau. Rasato e spogliato. È lasciato all’arbitrio dei “capò”. Lo costringono a lavorare  12 ore al giorno in un’officina. Quando, nella primavera del 1945, viene liberato dagli Alleati, pesa 40 chili.

Nel suo lavoro in Questura, Ricciardelli fu coadiuvato dal commissario aggiunto dott. Calogero Pisciotta (deportato a Dachau) e dal maresciallo Nicolò Raho. Mauthausen

Penso anche al direttore dell’ufficio anagrafe, Goffredo Terribile, sostenuto dal maresciallo di P.S. Salvatore Messina e dal carabiniere Egidio Varigiu.

Sono anche da ricordare il capo ufficio delle carte d’identità Giovanni Bressan; il consigliere generale italiano di Prefettura Marcello Zuccolin; il capo Gabinetto della Prefettura, dott. Del Cornò (deportato a Dachau).

Nel 1955 la Comunità israelitica ha premiato il loro impegno consegnando la medaglia d’oro a Marcello Zuccolin e altri 17 diplomi di gratitudine.

 

MAFERA: Un altro esempio…

Fiume. Vi operò Giovanni Palatucci (1909-1945). Fu responsabile dell’ufficio stranieri di Fiume (dal 1937). Vice commissario (dal 1940). Commissario volontario aggiunto nel 1942 (“volontario non lo era). Dopo l’armistizio, svolse un ruolo di “facente funzione di Questore”. Era circondato da ostilità. I tedeschi non autorizzano la costituzione della Milizia Nazionale Repubblicana di Salò, ma la formazione di un corpo separato denominato Milizia Territoriale Fascista che è sottoposto ai nazisti. In tale contesto, l’attività dei delatori è continua. Kappler è informato su Palatucci. Viene concordata una perquisizione nella sua abitazione privata. Quando questa viene effettuata non si trovano le prove di una protezione ai perseguitati del tempo. C’è solo   un documento politico di scarsa rilevanza. Si teorizzava per Fiume un’autonomia amministrativa. Fu questo il motivo ufficiale del suo arresto.

 

MAFERA: In realtà?

In realtà era controllato da tempo (esistono rapporti trasmessi a Berlino). I superiori (fortemente antisemiti, questore Genovese, prefetto Testa) sapevano che frequentava una giovane ebrea (Mika Eisler). Che interagiva con il console svizzero (non vicino al III° Reich). Che erano state individuate manovre non chiare… Sull’arresto di Palatucci restano ombre inquietanti. Il fatto che la polizia tedesca sia andata a casa sua con la certezza di trovare materiale compromettente fa pensare che a tradirlo sia stato qualcuno a lui molto vicino. Subì l’interrogatorio riservato ai traditori. L’isolamento nel carcere di Trieste. La deportazione dentro un carro merci. Dopo pochi mesi muore a Dachau. Aveva 36 anni. La morte avvenuta in tempi brevi attesta le pessime condizioni fisiche. È stato dichiarato “Giusto tra le nazioni” da Israele (1990).

 

MAFERA: Prof. Guiducci, su Palatucci ci sono polemiche. Il Centro “Primo Levi” di New York ha “smontato” questa figura. Molti sono rimasti disorientati. Altri hanno rimosso targhe. Lei che ne pensa?

Ho lavorato per anni sulla figura di Palatucci. Ho studiato documenti. Ho interagito con studiosi italiani e americani. Emergono evidenze.

 

MAFERA: Ad esempio?

La segretezza con cui operò Palatucci non facilitò, in seguito, l’accertamento di alcune sue azioni. Esistono comunque dei riscontri che riguardano:

Elena Ashkenasy Dafner e parenti (Yad Vashem; istruttoria su Palatucci; Archivio Dipartimento Giusti, file n. 4338). Testimonianza autografa. Il documento è datato 10 luglio 1988. Fu redatto a Tel Aviv;

Rozsi Neumann: “(…) anch’io e mio marito apparteniamo a questi ebrei che sono stati tanto aiutati da questo veramente nobilissimo uomo (lettera, giugno 1953);

-i genitori di Renata Conforty. Si chiamavano: Salvator Konforti (il cognome fu poi cambiato in Italia in Conforty), ebreo sefardita, di radici spagnole, e Olga Hamburger, askenazita, dell’Est Europa. L’anziana Renata ha ripetuto la sua testimonianza nel 2013;

-la famiglia Berger. Sull’interazione avvenuta tra queste persone e Palatucci, esiste un contributo storico di Aldo Viroli (2013):

Elizabeth Quitt Ferber (1913-2005) e la sorella Anna. Racconta Elizabeth: “con nostro stupore, ci indicò una serie di località da raggiungere come internati liberi. Alla fine la nostra scelta cadde su Sarnico, sul lago d’Iseo, e il dott. Palatucci ci assicurò che saremmo andati là. Non so come riuscì ad esaudire questa nostra richiesta, fatto sta che noi andammo direttamente a Sarnico. Come noi, ha aiutato una moltitudine di persone”.

Inoltre, nei file di Yad Vashem si legge che “nel settembre 1943 il Dr. Palatucci aderì al Movimento di Liberazione Nazionale, assumendo il nome di “Dr. Danieli”, proseguendo nella sua mirabile opera di salvataggio di migliaia di perseguitati”;

– ingegnere Carlo Selan e moglie. In una lettera del 21 dicembre 1940 Giovanni Palatucci raccomanda allo zio vescovo di interessarsi e d’intervenire riguardo ad alcuni ebrei che il poliziotto definisce “miei protetti”.  Tra questi c’è il nome di Carlo Celan. Nel 1991, Celan scrisse da New York in un articolo: “Tutta la mia famiglia e ognuno che è sfuggito a Hitler e agli Ustascia, ha trovato un porto di serenità in Fiume solamente per la gentilezza e l’ammirabile personalità di Giovanni. Se non fosse stato per lui, ben pochi avrebbero potuto rimanere vivi oggi”.

Si potrebbe, infine, aggiungere l’operazione mirata a salvare gli ebrei di Lenti. Ma avrei necessità di più tempo.

Giovanni Palatucci

 

MAFERA: E le altre evidenze?

In anni posteriori alla guerra è avvenuto un fatto. L’entusiasmo sincero di alcune persone verso Palatucci (anche per la causa di beatificazione) ha talvolta attenuato un rigore storico. Qualcuno in Italia se n’è accorto. E lo ha segnalato. Pure in U.S.A..

Ad esempio, si è fatta confusione sui gradi di questo dirigente. Su ebrei residenti e su quelli non residenti. Su vicende dei Balcani che mantengono proprie coordinate storiche. Su azioni dell’istituzione pubblica (differenti,  ovviamente, da quelle clandestine). Su dati statistici. Sono stati comparati tra loro dei totali (popolazione locale complessiva, ebrei di Fiume, numero dei salvati, ecc.). Ma non sono state inserite le variabili di flusso (profughi). Sulle caratteristiche di taluni campi di internamento.

Inoltre, taluni autori non sono storici. Essi hanno focalizzato in primis aspetti quali la generosità, l’altruismo, il sacrificio. Però, quando sono stati diffusi studi con base scientifica (Malini, Napolitano, Foa, Guiducci…), certe voci polemiche sono divenute afone. Lo dimostra, infatti, anche una conferenza del prefetto Giovanni De Gennaro (Capo della Polizia dal 2000 al 2007) su Palatucci. La tenne presso la residenza dei gesuiti a Porta Pinciana. Ero vicino al prefetto.

 

MAFERA: In conclusione…

Mi sembra che nell’attuale periodo non sia significativo “quantizzare” a tutti i costi il numero dei salvati da Palatucci (la vera cifra, bassa o alta, non la sapremo mai). È importante, al contrario, ricostruire dei percorsi. Delle reti di solidarietà. Tenendo anche conto delle attestazioni ebraiche. Penso al II° congresso ebraico mondiale (Londra, 1945). Rafael Cantoni (1896-1971) parlò di Palatucci indicando un alto numero di salvati (5000). A Rodolfo Grani, ebreo fiumano (1952). La sua testimonianza venne ripresa dai quotidiani di Tel Aviv “HaBoker” e “Uj’Kelet”. A Elia Sasson, ambasciatore d’Israele a Roma (1953). All’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia (1955). All’avvocato Paolo Santarcangeli (1987).

Di rilievo rimane il fatto che Palatucci fu sempre strettamente controllato dai nazi-fascisti (lo si capì dopo il suo arresto). Ove operava furono inserite spie. Gli tolsero il telefono. Malgrado certi elogi formali (mirati a salvare le apparenze e a non destare in lui sospetti), non era assolutamente considerato un fiduciario. Quindi, mi sembra debole la tesi di una sua totale “sintonìa” con i poteri del tempo (anche per una questione di formazione).

In definitiva, come afferma il prof. Marco Coslovich, chiunque, come Palatucci (e con lui tanti altri poliziotti funzionari, cittadini), abbia salvato anche un solo ebreo dal grande massacro, merita rispetto e ammirazione.

 

MAFERA: Nel Suo archivio ha copia di documenti che sono stati controllati?

Sì.

 

MAFERA: Un cenno…

Mentre studiavo la figura di Karel Weirich per un Incontro Internazionale, ho svolto ricerche anche presso l’Archivio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Roma). Qui, si trovano importanti riferimenti a Settimio Sorani. Nato nel 1899. Deceduto nel 1982 (cfr. anche Fondo Sorani presso il CDEC di Milano). Faceva parte della comunità ebraica di Roma. Fu il responsabile nell’Urbe della Delasem. Nelle sue esternazioni non si dimostrò tenero con nessuno. Neanche con la Questura di Fiume. Si pensi a questa frase: “La Questura di Fiume era disumana e se possibile, ancor di più (di quella di Trieste)”.

Eppure, tra i suoi scritti, si trova anche questo passaggio:

“Quando ebbe coscienza (Palatucci) che nelle sue mani di funzionario addetto al controllo degli stranieri, stavano, in gran parte le sorti degli ebrei di Fiume, non esitò a prendere posizione conforme alla sua posizione di cristiano e di italiano”.

Scrive ancora Sorani:

“A Fiume continuò l’afflusso segreto degli ebrei profughi dall’Europa invasa, che prese proporzioni ampie dopo l’invasione nazifascista della Jugoslavia. Secondo le disposizioni del prefetto Testa, che fungeva pure da commissario di Stato per i territori jugoslavi aggregati alla Provincia di Fiume, gli ebrei fuggenti dovevano essere colti come in trappola. Grazie invece alla collaborazione di soldati e ufficiali della Seconda Armata la trappola non funzionò”.

Palatucci “ufficialmente li faceva apparire irreperibili, mentre poi li muniva di documenti alterati”. Così “provvide ad allontanarli da Fiume alla chetichella”.

 

MAFERA: Interessante…

Non dimentichi che Sorani aveva ottimi informatori (ne ho ricostruito la rete con l’aiuto della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica di Milano). Che non era uso a parlare a favore di chi non stimava (le potrei fare molti esempi…), che i dati da lui forniti (pubblicati nel 1978 e nel 1983) trovano riscontri negli archivi U.S.A.. Negli archivi ebraici. In talune fondazioni. A questo punto, si potrebbe ripetere con il pittore e storico ebreo Georges De Canino (nato nel 1952): “Non uccidiamo una seconda volta Palatucci!”. Ero presente nel salone del museo ebraico di Roma quando pronunciò questa frase. Comunque gli studi proseguono. Con riferimento al 2014 ricordo un lavoro:

http://www.foe.it/Resource/SaggioAntoniaGrasselli_Respublica.pdf

 

MAFERA: Esiste un altro aspetto significativo che, a suo avviso, emerge dalla storia della Polizia di Stato?

La nascita del Corpo di Polizia femminile. Avvenuta nel dicembre del 1959. Fu una decisione importante. Favorì la protezione della popolazione femminile e quella dei minori. Risolse il problema della perquisizione corporale delle donne. Le poliziotte si distinsero, tra l’altro, per l’azione di assistenza alla popolazione svolta in occasione del terremoto del Belice (14.1.1968). Questo Corpo fu poi soppresso nel 1981. Il personale venne integrato nella Polizia di Stato. Con tale riforma, si stabilì, tra l’altro, che personale maschile e femminile dovevano avere parità di carriera e di mansioni. A tutt’oggi sono comuni i concorsi. La formazione iniziale. La partecipazione a corsi di specializzazione o qualificazione. Un numero significativo di donne ha avuto possibilità di carriera pari agli uomini, diventando anch’esse questore, dirigente di commissariato, di istituto di istruzione o di sezioni della polizia stradale, pilota d’elicottero, istruttore di tiro, di tecniche operative o difesa personale.

Le donne poliziotte si sono distinte in molte azioni. Ricordo, ad esempio, un episodio. Nel 2012, a Pistoia, il Capo della Polizia conferì quattro lodi: una all’assistente Simona Fazzi per l’arresto di 5 cittadini palestinesi in un’inchiesta sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la contraffazione dei documenti svoltasi a Montecatini nel giugno 2011. Ci furono poi lodi alla pari grado Maria Paola Beneventano per tre distinte operazioni tra il 2010 e il 2012 a Firenze e Livorno. Fazzi e Beneventano erano entrambe in servizio alla Stradale.

 

MAFERA: Può indicare un altro aspetto importante della P.S. sul piano storico?

Penso a tutti coloro che sono morti nell’adempimento del proprio dovere. Purtroppo, non sempre si ricordano le diverse vittime. La sensazione è che nell’attuale periodo si vada perdendo il senso della storia. Della nostra storia. E che ogni episodio, anche il più significativo, dura il tempo di una cronaca. Non dimenticare un evento, un episodio di coraggio, di valore, non significa solo non gettare nell’oblio. Ma vuol dire soprattutto recuperare il senso di una scelta. Il significato di un’adesione a programmi di difesa della comunità. Il valore stesso della vita. Della legalità.

Ricordo, in tale contesto, un episodio. Una delle realizzazioni di cui più si vantava il padre di mia moglie, riguardava il collegio di Fermo. Mio suocero si chiamava Aurelio Carnovale. Fu tra i responsabili della Ragioneria del Ministero dell’Interno. Fino a poco tempo prima di morire, il suo pensiero andava a Fermo perché in “quel” collegio erano accolti gli orfani dei caduti della P.S.. Poi la Ragioneria si occupò anche dell’impianto di Tor di Quinto (a Roma). Ma il cuore di mio suocero restava a Fermo.

 

 

 

MAFERA: Qualche figura significativa di poliziotto…

Sono tutte figure significative. E sono tante. A solo titolo esemplificativo si possono citare alcuni poliziotti. Penso alla figura del brigadiere (artificiere) Luigi Carluccio (nato nel 1953). Coniugato. Con un figlio. Era arrivato alla Questura di Milano per disinnescare diversi tubi esplosivi, piazzati a Como dalle Brigate Operaie davanti ad attività commerciali. Il 15 luglio del 1981 è morto in seguito all’esplosione di un ordigno.

Nel 2014 è morto il commissario Roberto Mancini. 53 anni. Era coniugato. Con una figlia. Aveva lottato per mesi contro un tumore. Il linfoma di Hodgkin. La patologia è stata causata dalla contaminazione con sostanze pericolose e radioattive. Mancini, infatti, aveva indagato sui rifiuti tossici (scorie sversate nelle terre tra la Campania e il Lazio).

 

MAFERA: Si tratta sovente di persone poco note al grande pubblico…

Sì, è vero. Al riguardo, mi sembra significativo ricordare un’iniziativa (non isolata). Nel 2013 è stato realizzato il progetto I commissari della polizia si nutrono di legalità. In un corso di formazione (Scuola Superiore di Polizia), i partecipanti hanno incontrato i figli di coloro che sono morti nell’adempimento del proprio dovere. Era presente il Capo della Polizia (Alessandro Pansa). Il pranzo è stato preparato con prodotti acquistati da Libera Terra Mediterraneo. Si tratta di un consorzio costituito da sette cooperative sociali. Tra queste, c’è anche “Libera” (promossa da don Luigi Ciotti e dai suoi volontari). Era presente Gilda Ammaturo, figlia di Antonio, vice questore aggiunto, ucciso a Napoli il 15 luglio del 1982 in un agguato rivendicato dalle Brigate Rosse. E c’era anche Franco La Torre, figlio di Pio, colpito a morte dai killer della mafia il 30 aprile del 1982. All’epoca La Torre era parlamentare nazionale e segretario regionale siciliano del Pci. È sua la legge che ha permesso di contrastare duramente la mafia.

 

MAFERA: Un ulteriore aspetto storico che Lei ritiene di individuare…

Riguarda la fase storica di passaggio a noi più vicina. Esistono certamente mutamenti organizzativi. Nuove linee operative. Adeguamento alla situazione internazionale. Ma si riscontra pure una tendenza a rendere il servizio della Polizia di Stato un fatto non solo istituzionale ma comunitario.

In precedenti periodi storici si è assistito a un divario. Da una parte i poliziotti erano visti come articolazione operativa di un potere centrale lontano dai cittadini. Dall’altra, collaborare con i poliziotti era ritenuto un comportamento da evitare. E si finiva con terminologie segnate da estremismo (spia, delatore…).

Oggi si va prendendo consapevolezza dell’importanza del lavoro di squadra. Si vanno smantellando alcuni muri storici.

 

MAFERA: Ad esempio?

Il poliziotto, la poliziotta, entrano nelle scuole di ogni livello. Offrono indicazioni per prevenire situazioni di dipendenza, rischi di varia natura (anche stradali), difesa dal bullismo… Attraverso pubbliche manifestazioni si informano i cittadini delle iniziative promosse dalla Polizia. Ricordo un’iniziativa alla quale fui presente. Si svolse al palazzo dello sport dell’Eur (Roma). Bravissimi i cani poliziotti (anti droga)… Occorre anche ricordare il tifo che gli appassionati di sport manifestano verso gli atleti poliziotti (Fiamme Oro). Gli applausi sono meritati: Livio Berruti (1960, atletica leggera), Valentina Vezzali (scherma), Elisa Di Francisca (scherma), Roberto Cammarelle (pugilato)…

 

MAFERA: Molte trasformazioni da quel lontano 1848…

Sì. Indubbiamente. Penso anche alla stessa promozione di mostre. Si tratta di una notevole linea comunicativa che aiuta a leggere un cammino storico. A entrare nell’attualità. Un esempio: la mostra organizzata a Firenze nel 2015. Ha avuto per titolo: La Polizia di Stato. Un viaggio tra il passato ed il futuro. L’allestimento è stato curato dall’Ufficio Storico della Polizia di Stato. Ne è direttore il dott. Raffaele Camposano (primo dirigente della P.di S.). Responsabile anche del Museo Storico della P.di S..

 

MAFERA: Esiste quindi una reale interazione tra la Polizia e i cittadini…

Sì. Penso al alcune situazioni. Le famiglie, ad esempio, si sentono molto vicine alla Polizia quando vengono ritrovati dei bambini. Quando si prevengono dei suicidi. Quando si fermano dei violentatori, dei pedofili. Quando sono neutralizzati soggetti pericolosi (mafie, racket ed usura, crimine informatico…). Quando, nelle pubbliche calamità (terremoti, esondazioni di fiumi, frane, esplosioni di varia natura…) si vedono i poliziotti e le poliziotte lottare per salvare delle vite umane… In tale contesto, mi sembra che ampliando una relazionalità spontanea, sostenendo una cultura della legalità, e sviluppando una trasparenza istituzionale, si arriverà sempre più a comprendere che siamo tutti cittadini. Tutti in cordata. Verso comuni traguardi. Tutti corresponsabili della vita del Paese.

 

MAFERA: Per concludere. Prof. Guiducci, una domanda impertinente. Lei ha mai avuto qualche difficoltà con la Polizia?

Certamente. Natale 2014. Ero andato a San Pietro. Faceva freddo. Avevo portato un dono per i poliziotti che controllano i visitatori con i raggi x. Un barattolo di marmellata (arance al profumo di zagara). Il coperchio della confezione era metallizzato. Suona l’allarme. Vari sguardi si concentrano sul sottoscritto. La situazione si chiarisce subito. Un poliziotto rimane incerto. Una poliziotta, invece, si è alzata dalla postazione. E mi ha rivolto alcune frasi gentili. Mi ha detto che conosce quel tipo di prodotto perché è nata a Messina. Poi ci siamo salutati.

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