Sono gli italiani i lavoratori più stressati in Europa

L’accelerazione dei tempi e la moltiplicazione delle connessioni comportano nuove modalità di pressione ambientale sul lavoratore, determinando un leggero incremento degli occupati che, nella media europea, segnalano un’influenza negativa del lavoro sulla salute e sul benessere individuale. Più in generale, negli ultimi cinque anni, la situazione nell’Unione Europea fa registrare una stazionarietà delle problematiche in materia che non evidenzia né progressi, né peggioramenti. Resta elevata la quota di lavoratori con sistematici problemi di stress da lavoro: sono il 28% (sia nella rilevazione del 1995 sia in quella del 2000).

A subire maggiormente tale effetto negativo sono manager (32%) e professionisti (40%), ma anche tecnici (35%) e operatori di macchinari. L’Italia risulta particolarmente colpita dallo stress lavorativo, almeno nella percezione dichiarata; si assesta, infatti, al secondo posto nella graduatoria europea, con un valore del 41% degli occupati colpiti da tale sindrome, molto distante dal 27% britannico, 25% tedesco e 24% francese. E’ ben evidente che proprio un sintomo di disagio complesso come lo stress riporta al centro dell’attenzione gli aspetti micro-organizzativi e relazionali, ma soprattutto un’apertura alla socialità per le strutture di lavoro pubbliche e private.

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I lavoratori italiani sono in una posizione di rilievo anche nella graduatoria delle ore di lavoro straordinario: sono al secondo posto, con il 31%, rispetto a una media europea di lavoratori che sono interessati da questo fenomeno pari al 21%. Gli attuali modelli produttivi globalizzati sono centrati sull’offerta di beni-servizio e richiedono abilità e competenze assai più complesse del passato, includendo conoscenze tecnico-operative, capacità di relazione e facilità comunicative.

A tale proposito si deve tener conto che nella media europea per il 69% dei lavoratori il “ritmo” lavorativo dipende dalla diretta domanda dei clienti/utenti, quindi direttamente dal mercato e non dalla struttura organizzativa in sé, e che questa quota arriva all’86% per gli occupati nei servizi, all’83% per i manager, all’81% per i professionisti e al 76% per gli impiegati.

Questi sono alcuni dei dati contenuti nel dossier del Censis presentato da Giuseppe Roma, direttore generale dell’Istituto, al convegno di apertura della “Settimana europea per la salute e la sicurezza sul lavoro” che si apre oggi a Milano. «L’apertura competitiva dei mercati», ha concluso il Direttore generale del Censis, «così come lo scongelamento delle rigidità tipiche del mercato del lavoro industriale, le liberalizzazioni, le minori protezioni e sicurezze pubbliche nel welfare, sono tutti elementi di novità che consentono una maggiore libertà d’azione per l’impresa, ma spostano sul piano delle responsabilità collettive la sua indispensabile funzione sociale

Comunicato stampa censis del 21 10 2002 – Considerata la sua attualita’, viene pubblicato su SPV a cura di carlo mafera (rimuovibile a richiesta)

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